un film da vedere: L’ordine delle cose
postato il 14 Set 2017Quest’anno non ho potuto partecipare alla Mostra del Cinema di Venezia ma ieri a Mestre, dove ho iniziato il giro veneto di presentazione del libro L’ecofemminismo in Italia, ho visto il film L’ordine delle cose, presentato alla 74a Mostra e ho partecipato al dibattito con l’attore libico Kalifa e il regista Andrea Segre, giovane autore di altri film di successo, che qui mi ha trasmesso un pensiero forte, che sto praticando con fatica, e lui l’ha sintetizzato nelle immagini e detto con una semplice frase nel dibattito.
Il messaggio è: mai collocarsi al centro dello scontro perché quello è il punto di osservazione che fa comodo al potere, mai cadere nel gioco delle contrapposizioni perché quello è stato inventato dal patriarcato dominatore e rapinatore, stupratore di donne a cui si è contrapposto per schiacciarle e che ha cancellato usando il neutro uomo e umanità.
L’alto funzionario del governo, un ex spadaccino diventato sbirro evoluto, viene spedito in Libia per fermare i migranti che vorrebbero venire in Europa e deve trattare con fantocci che dovrebbero fermarli, dando tutto il denaro e le risorse messe in atto a tale scopo dal governo italiano e dalle autorità Ue, ai miliziani che controllano il territorio, e quindi hanno il vero potere, e che continueranno sempre più a ricattarci. (almeno 400 milioni di euro).
Corrado si barcamena tra stanze del potere libiche, italiane ed europee, porti di imbarco e sbarco e centri di detenzione con una certa professionalità che lascia trapelare appunto quella maschera di umanità patriarcale di cui dicevo.
Conosce una giovane libica del cui fratello ha visto il cadavere con i segni delle percosse e torture dei gendarmi libici di cui ha misurato la violenza e si trova un biglietto di aiuto e una chiavetta del pc tra le mani, con la preghiera della ragazza di farla avere ai suoi parenti a Roma.
Incautamente dal punto di vista del potere che rappresenta, Corrado non può quindi evitare di far uscire dal mucchio dei numeri dei migranti, che non possono essere considerati individualmente essere umani con bisogni, la giovane libica che impara a conoscere anche al pc quando esplora il suo sito con la chiavetta.
Contravviene quindi ad una delle regole che pratica chiunque lavori al contrasto dell’immigrazione: non conoscere e non sapere nulla di chi sono e cosa desidererebbero, del perché fuggono e in che cosa sperano.
Esce quindi dal punto dello scontro e dalla contrapposizione carnefice/vittima. Ma solo per poco e poi rientrerà nel ruolo che sa reggere bene.
È proprio quello scarto che a noi deve interessare, perché è quello in cui ci troviamo inevitabilmente in questo contesto a cui vorremmo sottrarci ma non possiamo, ne’ noi che ci consideriamo buonisti, o tali siamo definiti, ne’ quelli che per noi sono razzisti, nel gioco delle contrapposizioni che ci vengono proposte nel punto di scontro impostoci dal potere.
Uno scontro in un conflitto che riguarda la vita di tutti noi. Ragioni umane/ Ragioni di stato.
Il regista ha girato a Tripoli dal 2014 con una preveggenza che oggi misuriamo grazie alla politica di Minniti, pienamente condivisa dalla UE, che ha fermato momentaneamente i migranti, in cambio di denaro ed armi finite alle milizie, lasciandoli nelle loro mani e nei loro luoghi di detenzione. Minniti ha alzato il livello dello scontro e il potere di ricatto di quelli che faranno partire o bloccheranno a seconda di come conviene loro e a noi indicheranno Lampedusa e Ventimiglia, dove si possono filmare e fotografare i drammi mentre lo scambio indecente prosegue. La vicenda Regeni e il via vai del nostro ambasciatore insegna. Le donne oggetto di tratta, utili allo stupro degli uomini italiani e i neri nei campi di pomodori o nelle vigne, utili al caporalato e ai proprietari dei campi, avranno accesso libero.
È questa la prospettiva che ho realizzato e voglio proporvi oggi. E per farmi capire meglio voglio raccontarvi una situazione in cui mi sono trovata all’ultima plenaria Nudm.
Si discuteva delle iniziative per il 28 settembre, giornata di rivendicazione per il diritto di aborto. Qualcuna ha proposto di intervenire al Mauriziano contro il primo presidio del movimento per la vita. oppure contro il consolato del Costarica che pare abbia una legislazione molto restrittiva. Questa proposta mi è parsa poco femminista, come partisse da chi il problema dell’aborto non ce l’ha ma cerca lo scontro.
A me piacerebbe invece aiutare chi oggi ha il problema: le migranti stuprate, le ragazze che non ricevono informazioni corrette ne’ a casa ne’ a scuola, iniziano prestissimo ad avere rapporti non protetti e non possono avvalersi della 194.
Mi piacerebbe sempre affrontare i bisogni reali e non nascondermi dietro allo scontro che fa comodo al potere.
Ricordiamocelo nelle manifestazioni contro i G7 e nell’organizzare i controvertici.
Commenti:
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Grazie, Laura. Mi piace molto e trovo utile questa raffigurazione di non mettersi al centro dello scontro e rifuggire le contrapposizioni. in pratica secondo me non significa solo aiutare le vittime o le potenziali vittime. Per me significa parlare con tutte e tutti, evitare schemi semplicistici, capire le ragioni, capirle anche col cuore, accettare i limiti e operare consapevoli che tutto è interconnesso.
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L’ho visto ieri. decisamente un bel film e attualissimo. L’ordine delle cose garbatamente mette in evidenza e in contrasto le due realta’ contrapposte: la vita ordinata e benestante di un funzionario ministeriale incaricato dal governo di risolvere una trattativa con i libici per arginare i flussi migratori e tutto il resto. Un resto fatto di fughe, sofferenze, di massa umana indistinta chiamata immigrati. Solo nel momento in cui il protagonista involontariamente viene a contatto con un volto emerso dal mucchio, ne distingue i tratti, si incuriosisce della sua vita, della sua storia e anche del suo futuro. Ma è un attimo… l’ordine delle cose non si può e non si deve mutare. nel mio viaggio sulle rotte dell’immigrazione ho capito la differenza tra loro e noi… tra il parlare in astratto e toccare con mano la vera realta’. come per magia l’argomento immigrati prende forma, la forma di quegli occhi e quelle persone conosciute, le loro lacrime e i loro sorrisi diventano incredibilmente veri e le loro storie distinte, unite da un unico tratto di sofferenza. quando ora parlo d’immigrati so di parlare di e a nome di sara, baharam, rosy e molti, moltissimi altri… e non è la stessa cosa. questo film è un aiuto a capire questo, ad andare al di là del generico per cogliere l’essenza dei fatti. e cioè che stiamo parlando di vite, persone, miserie umane e per loro stiamo decidendo.