Habemus gubernatio, imperium, potestas o auctoritas?
postato il 29 Apr 2013
Abbiamo il governo. Ho usato i termini latini che definiscono la parola governo nelle accezioni di allora: gubernatio esercitato dal governatore nelle provincie, imperium potere di natura militare, potestas dei magistrati, consoli o pretori che promulgavano editti e, in ultimo, l’auctoritas del sapere riconosciuto socialmente. Auctoritas e potestas erano entrambe necessarie per guidare la res pubblica. Mi piacerebbe che qualche esperta ci spiegasse meglio l’etimologia della parola governo in rapporto con potere, prima del percorso che ha portato allo Stato moderno.
Questo perché voglio aprire anche una riflessione sulle parole da cui si origina il potere, l’organizzazione dello Stato e la legge di Roma, decisi dagli uomini che hanno sperimentato la democrazia, la repubblica e l’impero negli stessi luoghi, più di duemila anni fa. Una ricerca che ci aiuti a capire la crisi politica che stiamo attraversando senza dare per scontate le parole che si usano. Mentre si sparava davanti a palazzo Chigi ferendo due carabinieri e una donna incinta, io stavo discutendo nel gruppo di Chiara Zamboni di strategie linguistiche del potere e di quelle della liberazione. Della sofferenza nello sperimentare il vuoto che si produce quando si rifiutano le sicurezze delle parole che ci regalano identità limitate ma ci mutilano la creatività impedendoci quel “movimento dell’essere” che trasforma la realtà. Dell’affrontare il vuoto relazionandosi con altri: lo scambio di esperienze che diventa relazione politica. Rabbia e assuefazione danno invece sicurezza e identità, sai dove stai ma ti esauriscono la potenzialità creativa.Tutti abbiamo imparato il linguaggio da nostra madre, con l’affettività, la fiducia e la corporeità che da bambini abbiamo cercato. Tornare alle origini del significato delle parole significa misurarsi con tutto ciò che non sta nei sussidiari, che non si spiega nell’etimologia delle parole ma che ci riporta a rinascere ogni volta nel percorso della creatività. Quanto lavoro per chi vuole fare politica che cambia lo stato delle cose.
Ieri il giuramento in diretta con la sparatoria davanti a Palazzo Chigi, oggi le interviste e gli interventi che si alternano alla conferenza di Martina Giangrande, alle interviste ai famigliari dell’aggressore e ai bollettini medici Gli svolazzi in politichese sono assolutamente stonati di fronte alla drammaticità del momento. Le parole aggressive in aula pesano troppo. Armi contro le istituzioni e la politica, vittime che non hanno potere, che non hanno la responsabilità di quello che sta succedendo. Ricordo l’uccisione di due impiegate a Perugia poco tempo fa. L’arma facile. Di modello statunitense dicono. Ma l’arma facile anche nel nostro paese, da sempre contro le donne, una uccisa ogni due giorni da mariti e da ex. Questo nei commenti dei giornalisti non si dice. Si ricorda invece che anche i suicidi sono tanti. Che il disagio sociale e la rabbia contro i politici crescono. Che la solitudine porta con sé la disperazione e l’uscita di senno.
Ritorneremo su questi pensieri che mi piacerebbe approfondire mentre parliamo del governo Letta/Alfano per dire cose che ci aiutano a modificare la realtà che non ci piace.
Mentre scrivo i voti di fiducia arrivano anche dai recalcitranti e le opposizioni che non votano la fiducia M5S, Lega, Sel e Fratelli d’Italia ci tengono a dichiarare che saranno responsabili e voteranno i provvedimenti che condividono. La rabbia contro l’incapacità della politica e i privilegi della casta favoriscono le grandi intese.
Staremo a vedere ma intanto noi che facciamo?